Officina delle Immagini

Manifesto per una educazione alla fotografia.

“L’analfabeta del futuro sarà ignorante sull’uso della macchina fotografica e della penna nello stesso modo.”

Questa frase tra virgolette è una profezia di Moholy-Nagy del 1932 ma, quello che mi impressiona, non è solo la sua previsione ma la nostra incapacità a non porre attenzione a questa “verità” malgrado gli anni dimostrino che la fotografia sia la maggiore e la più stimolante innovazione nella comunicazione di stampa.

In un batter d’ali la fotografia ha invaso la cultura occidentale e orientale con una tale determinazione che se, per qualche magia, tutti i materiali e le tecniche direttamente o indirettamente collegati ad essa, potessero svanire in una notte senza lasciar traccia, la nostra società sarebbe paralizzata.

La fotografia è ormai così integrata nel tessuto della nostra cultura – i fili passano attraverso le varie tecnologie, ma anche la fisica nucleare, la medicina, tutti i settori dell’industria, ecc – che la formazione della cultura ed il telaio per tessitura della storia sono assolutamente dipendenti da essa.

Dovremmo renderci conto, quindi, che, “se accettiamo le immagini od i filmati auto-prodotti per svolgere una funzione di denuncia”, analfabetismo fotografico del nostro tempo è un fenomeno enormemente più grave a causa del suo potenziale espressivo/creativo/comunicativo

Siamo ormai tutti d’accordo che la fotografia sia una forma “naturale di arte” e quindi, per logica, dovrebbe esistere un “naturale insegnamento” ma ciò richiederebbe una ristrutturazione radicale dei metodi di insegnamento: bisogna infondere e nutrire la creatività.

Però, credo che, purtroppo, suggerire che questi dovrebbero essere gli scopi principali dell’istruzione della fotografia è come dire che la reale lotta, debba essere ancora verso la sua accettazione come una forma di Arte. Ci sarà sempre chi dirà che non si possa fare Arte con una macchina fotografica o qualcun altro che, se si può, sarà solo imitando i contenuti estetici di altre Arti Maggiori. Ma, fortunatamente, sia i fotografi che ogni persona coinvolta nel settore, prendono a cuore la questione e tentano di rompere questo ragionamento vizioso.

Però il problema, creato dalle due affermazioni del “naturale”, ci costringe ad esaminare la situazione da un altro punto di vista.

Se l’istruzione della fotografia è troppo importante non si deve lasciare ai fotografi. Orrore! No, non saltate sulla sedia! Ma gli esperti fotografici commettono un fondamentale errore perchè pensano che la popolazione del mondo possa essere divisa in due gruppi: i “fotografi seri” e i non fotografi.

Credo che questa divisione sia imprecisa e crea un mondo ermeticamente sigillato dove gli esperti ed i loro accoliti si parlano l’un l’altro, inconsapevoli della loro dipendenza e non si confrontano con coloro che sono fuori dai loro parametri.

Ma, ahinoi, come nella guerra non ci sono, purtroppo, più i civili anche qui non ci sono più i fotografi. Ora se togliamo lo sguardo dallo specchietto retrovisore e lo portiamo sul ruolo della fotografia nella nostra società, diventa evidente che c’è bisogno di una ridefinizione radicale del concetto della “comunità fotografica”.

Troppo a lungo abbiamo creduto che includesse solo “bravi” o “artisti” fotografi, curatori, critici e quel piccolo pubblico specificatamente interessati a guardare, acquistare e leggere i lavori che questi tre gruppi producono.

Anche se togliamo la fotografia da altre aree a cui accennavo prima e ci concentriamo esclusivamente sui media – film, TV, libri, riviste, quotidiani – siamo costretti a concludere che riceviamo la nostra informazione dall’immagine fotografica più che dalla parola scritta, il che significa che il 50% delle nostre decisioni (collettive e singole) è in qualche modo fortemente basato sulla fotografia.

Escludere, perciò, dal “concetto di comunità fotografica” chiunque immetta dati fotografici non è giusto.

Dobbiamo, per forza maggiore, formulare una nuova definizione di comunità; una più adatta al nostro tempo che Includa, senza graduatorie, chiunque faccia, utilizza, edita, esamina, valuta, incorpora, studia, apprende o insegna la fotografia, l’ immagine grafica in una qualunque delle sue forme. Dovremmo quindi accettare che ognuno di questa società e nel mondo faccia parte della comunità e con questa visione di vasta comunità si avrà un potenziale straordinario di crescita. Un potenziale basato sulla profonda capacità dell’immagine di essere una sorgente di alimento per approfondire se stessi e la percezione dell’universo in cui viviamo.

Per fare tutto questo dobbiamo riconsiderare l’istruzione alla fotografia.

Per questo dovremmo prendere a cuore la profezia di Moholy-Nagy e lavorare affinchè non si concretizzi del tutto e che ogni persona, e non solo quelli chi alla fine decidono di seguire la loro vocazione o per il loro svago, vengano educati bene alle funzioni dell’immagine.

Tale istruzione è vitale come quella della scrittura, della lettura: si dovrebbe iniziare dall’infanzia ed essere una parte integrale degli insegnamenti a scuola a tutti i livelli. Sarebbe un buon inizio se ogni istituto superiore offrisse un corso di base (i corsi attualmente sono scarsi anche negli istituti superiori con sezioni di fotografia).

Se osserviamo il fenomeno dell’immagine fotografica nella nostra cultura con il suo potenziale quale strumento evolutivo (come pure rivoluzionario), dobbiamo riconoscere che la fotografia ha molte funzioni in questa società e che queste hanno poco e forse niente a che fare con l’estetica e obiettivi.

Abbiamo già tutti noi dimostrato, che la fotografia sia una forma di arte: bene!

Insegnare ora solo arte ed estetica non è più sufficiente.

Ciò di cui abbiamo bisogno, adesso, è un avvicinamento didattico alla fotografia che non la releghi a corsi di belle arti ma bisogna integrarla in ogni disciplina.

Si deve alzare il tiro!

A meno che non siamo così superficiali da credere che la capacità di conoscere i nostri avi sia semplicemente sfogliando un album di famiglia e non vediamo quei cambiamenti che hanno modificato nel tempo le nostre percezioni.

Dov’è quindi, la scuola di psicologia con corsi di fotografia che esplorano congiuntamente questi cambiamenti?

Parliamo di guerra? Dove sono i corsi di storia che studiano l’esperienza dei soldati, a meno non pensiamo che la guerra sia una questione romantica?!

Tante domande simili potrebbero essere richieste in ogni disciplina: sociologia, medicina, letteratura.

Le risposte inizieremo a ottenerle solo quando ogni interessato alla istruzione della fotografia sarà disposto a guardare oltre la portata limitata dell’avvicinamento di arte/estetica e inizi ad applicare pressione per tutto il sistema educativo per un avvicinamento interdisciplinare alla educazione fotografica.

Un avvicinamento che porterà insieme i fotografi, storici fotografici, curatori di fotografia e critici di fotografia del futuro con scienziati, sociologi, poeti, psicologi, medici, ballerini, musicisti, matematici, fisici e scultori.

Dobbiamo affrontare il fatto che viviamo ora in un sistema sociale del tutto dipendente dalla parola stampata e dall’immagine fotografica. Il tempo per il cambiamento è ora.

Siamo gli “analfabeti del futuro” Moholy-Nohy ci ha avvertito; i nostri bambini saranno gli analfabeti di un futuro ancora più disperato meno che non cambiamo rotta e allineiamo l’istruzione della fotografia con realtà più alte del nostro tempo.

Come concludere questo intervento?

In alcuni casi un lavoro fotografico non è principalmente una dichiarazione di sensibilità estetica o una prodezza intellettuale o qualsiasi altra cosa, ma una manifestazione del proprio codice morale e per questo dobbiamo pensare ad un insegnamento appropriato a tutti i livelli della nostra società.

Maristella Campolunghi


 

 



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