intervista a Federica Muzzarelli di Teresa Bianchi

TRE DOMANDE 

SULLE FOTOGRAFIE REALIZZATE DALLE DONNE

Intervista a Federica Muzzarelli 

di 

Teresa Bianchi

 

 L'intervista a 

Federica Muzzarelli

nasce dalla visione e lettura di 

tre volumi sulla fotografia 

realizzata dalle donne

 

 

 

 

 

FEDERICA MUZZARELLI

 IL CORPO E L’AZIONE

Donne e fotografia 

tra otto e novecento

 Editrice Atlante 

www.atlantelibri.com

 

 

 

 

 FEDERICA MUZZARELLI

Esperienze e prospettive 

delle pratiche ottocentesche  

Editrice Quinlan 

  www.aroundphotography.com

 

 

 

CLARA CARPANINI

VEDERMI ALLA TERZA PERSONA

La fotografia di Claude Cahun

Prefazione di Federica Muzzarelli

Editrice Quinlan – www.aroundphotography.com

Teresa Bianchi - Nel volume “il corpo e l’azione”propone il lavoro di dodici fotografe che, nella loro produzione, si sono “ritratte” e hanno “fotografato” intimamente tutto ciò che circondava il loro mondo, in modo crudo e creativo, a differenza della fotografia maschile a volte più sofisticata, quale è stato l’imput sulla scelta delle artiste, ad esempio non ha parlato di Gisèle Freund o Lotte Jacobi, forse è in programma un altro volume.


Federica Muzzarelli La  domanda che lei mi rivolge mi è stata fatta, e giustamente, molte volte. Sia nel merito delle "esclusioni" sia in quello di un possibile "secondo tempo" della pubblicazione sulle donne e la fotografia.
Le rispondo dunque separatamente. Se guardiamo al panorama della pratica fotografica delle donne nel 
periodo da me preso in esame (dalle origini alla seconda guerra mondiale circa), molte sono le personalità e le esperienze che meriterebbero grande attenzione e rivalutazione e che ancora oggi sono poco conosciute se non nel ristretto campo dei gender studies. Detto questo ci sono poi donne fotografe, come Jacobi o Freund o potremmo aggiungere Bourke-White o Lange ecc., già molto note che però io non approfondisco o cito solo marginalmente.
A questa doppia situazione c'è una medesima spiegazione. La mia intenzione non era quella di pretendere di riscrivere una storia della fotografia che includesse finalmente tutte le figure delle donne escluse, il testo non è un'antologia né appunto una storia. è un saggio critico che propone un punto di vista e un metodo d'analisi molto chiaro volto a sostenere che nella fotografia di alcune donne, dalla vita anche molto particolare, si mette in azione una dimensione concettuale dell'uso dello strumento fotografico che i  contemporanei (uomini) ancora non sono in grado di percepire.
Questo non per caso, ma in quanto la cultura, la filosofia, l'arte,  l'estetica, la società si stavano avviando ad una fase rivoluzionaria che, seppur non completamente e con grandi difficoltà, avrebbe riportato al centro dei dibattiti le esigenze del corpo, dell'interazione con l'ambiente, dell'esperienza percettiva e, infine, tutte queste cose insieme, delle donne.
Sulla seconda questione, il progettare una seconda parte del libro, le risponderei che si potrebbe anche fare. Sarebbe però una cosa diversa proprio sulla base della tesi sostenuta qui sopra: dagli anni delle 
neoavanguardie a oggi è certo che le donne occupano nell'arte sempre più spazi e importanza. Ma quella fase eroica, complicata e affascinante, piena di speranze e gonfia di delusioni, quella cioè analizzata ne Il Corpo e l'Azione, ha caratteristiche sue e irripetibili, nella sostanza e nell'ipotesi critica che propongo.

T.B. - Nel volume “Le Origini Contemporanee della Fotografia”, sempre realizzato da lei, ha rivisitato la storia dalle origini ai giorni nostri. Ha aperto un “Vaso di Pandora”, tutto era già scritto o no?

F.M. - Da un punto di vista schiettamente filologico e storico certo tanto è stato scritto sulle vicende originarie della fotografia, anche se credo che amici come Italo Zannier dimostrino che c'è sempre ancora  tanto da fare per chi indaga e studia con passione. In questo caso, della pubblicazione "Le origini contemporanee della fotografia", la mia idea era anzitutto fare i conti con una preparazione universitaria spezzettata che ci obbliga a fornire agli studenti strumenti sintetici e agili. Non piacerà, a me non piace, ma è così e ci si deve confrontare con questo. Nel farlo però ho creduto  di non scrivere un "bignami" di storia della fotografia, ovvero semplicemente una sintesi facilitata delle nozioni fondamentali e basta. Come è credo nelle mie corde e evidente nei
miei contributi, ho cercato di leggere le vicende ottocentesche con uno sguardo anche alle successive conquiste novecentesche, in modo da non fare della storia un monumento inossidabile e incrollabile ma anzi un territorio aperto dialogicamente alle interpretazioni successive che l'estetica ha aperto da Duchamp in poi. Perché allora non raccontare la Polaroid insieme al dagherrotipo, la carte-de visite assieme alla photomaton di Franco Vaccari, la Contessa di Castiglione assieme a Luigi Ontani. Senza trascurare la correttezza filologica e storica degli eventi e delle opere ma senza nemmeno isolarli in un universo fuori dal tempo e dallo spazio.

T.B. - Una domanda anche per la presentazione al volume di Clara Carpanini: “Vedermi alla Terza Persona” La fotografia di Claude Cahun. Nel 1974 Roland Barthes realizza: Barthes di Roland Barthes, dove si racconta in terza persona e scrive che “L’unica passione della mia vita è stata la paura”, "paura di essere afferrato e frainteso". Una paura che nella Cahun non si percepisce anzi, nel testo, si “legge” una continua “rappresentazione” del proprio travestimento. A meno che non ci troviamo davanti allo stesso “panico” ma vissuto in modo diverso.

F.M. - Sì, in un certo senso anche Claude Cahun ha paura e usa la fotografia e l'autoritratto come antidoto alla paura di essere afferrata. Nel suo caso il mostro da combattere e da cui fuggire è l'omologazione, lo stereotipo, la legge uguale per tutti fissata per sempre. Cahun vuole  essere un animale libero, che può rinascere ogni giorno, senza identità predefinite, senza genere stabilito a priori.
Per raggiungere questo stato "anarchico" e libertario Cahun trova  nella fotografia una fedele alleata.
E' lì che il suo corpo androgino, il suo look lesbo, la sua anatomia antifemminile, il suo gusto per il travestimento trovano alimento e quotidiana conferma. La storia e l'arte di Claude Cahun credo siano uno degli esempi più avvincenti e affascinanti proprio di quell'arte diversa delle donne pre-sessantotto di cui si accennava sopra.

 

Federica Muzzarelli

Università di Bologna Dipartimento delle Arti Visive di Bologna

Piazzetta G.Morandi 2 

40125 Bologna

 

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