Officina delle immagini fotorama, tentativo di demarcazione

Tentativo di demarcazione

tratto da 

FOTORAMA

n°6 - anno 1956

 
 

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La fotografia si presenta a noi in una tale diversità di stili, di forme e tecniche, che si finisce con l’interrogare se stessi sul valore e sul significato di questa ridda di immagini disparate. La risposta, intendiamo la risposta completa, non può essere contenuta entro il breve spazio di un articolo di rivista. Ci sembra invece sia possibile enunciare il problema “fotografia”  ed è proprio ciò che tenteremo qui.

Quando si medita sul “fenomeno” fotografia, si è naturalmente condotti a stabilire un rapporto tra questa ed altre arti grafiche, con le arti plastiche in generale. Ma ci si rende immediatamente conto che il caso della fotografia è anche qualcosa di assolutamente nuovo, soprattutto grazie al suo carattere tecnico spiccato e alla vasta estensione del campo dove essa viene applicata.

Si può scegliere la soluzione di Sedlmayr e Avermaete che, partendo da una serie di premesse fuori moda, squalificano senz’antro la fotografia come arte, il che, almeno, semplifica il problema. Il fatto che esista una produzione fotografica di alto tenore artistico incontestabilmente è una verità che viene dissimulata sotto un velo di venerabili considerazioni teoretico-artistiche. Forse verremo sospettati di partito preso e non a torto. Abbiamo infatti un partito preso, ma pensiamo che basterebbe un poco di simpatia ( e un po’ di informazione in merito alla produzione fotografica) per arrivare ad una giusta nozione delle cose.

Siamo tentati di fare un paragone con l’incisione su legno, una tecnica di riproduzione grafica in voga alla fine del Medioevo e che non aveva all’origine la minima presa artistica. In seguito apparve l’incisione su legno meccanica, tale e quale l’abbiamo ammirata noi stessi nelle edizioni neerlandesi di Giulio Verne, e che permise a più di un lettore di conoscere Gustavo Doré. L’incisione su legno fu soppiantata come tecnica di riproduzione dalla litografia di Senefelder (1799); poi dalla fotografia, che rivoluzionò completamente l’industria grafica. Ora che cosa vediamo? L’incisione artistica su legno, nata da una tecnica di riproduzione, esiste sempre e nomi come quelli di Masereel, J. Cantré, Orlowsky dicono eloquentemente a quale livello essa sia stata portata. L’incisione su legno ha percorso diverse fasi che si sono annullate a vicenda nel corso degli anni. E la fotografia? Non ha forse conosciuto un curriculum vitae analogo, un medesimo processo evolutivo? Dalla fotografia quale tecnica di registrazione automatica di immagini non è divenuta fotografia come mezzo di espressione? Con questa differenza, che la forma primitiva della fotografia sussiste sempre in innumerevoli applicazioni, accanto alla sua forma artisticamente più evoluta.

L’automatismo della fotografia, l’immensità impressionante del suo campo di applicazione, fanno nascere i punti interrogativi, fanno sorgere tutte le difficoltà quando si tenta di gettare le basi della piramide stabile e ferma dei “valori fotografici”

Per coloro che si attengono alla concezione tradizionalistica dell’arte, la causa è giudicata: la fotografia e l’arte sono due cose diverse. E, se si parte dalla concezione tutto l’interesse si riserva su un concorso di condizioni di carattere artigianale da cui dipende il valore artistico, ma alle quali difficile subordinare con successo la fotografia.

Ogni fattore che sfugge al controllo diretto dell’artista squalifica la tecnica utilizzata in quanto mezzo di espressione artistica. Ora, poiché la fotografia è per sua natura un modo di registrazione automatico, sembra difficile farla rientrare nel tempio delle arti. In fondo, la questione di sapere cos’è la vera fotografia, la fotografia per eccellenza, potrebbe anche, in maniera paradossale, condurci alla medesima conclusione di Avemaete, allorché egli dichiara che la fotografia non è vera arte.

La ricchezza della fotografia come arte è stata appena messa pienamente in luce dalla concezione progressiva dell’arte. Secondo questa ciò che conta non sono né la maniera né la purezza nell’applicazione di una tecnica consacrata ma unicamente l’immagine essa stessa, con la sua potenza comunicativa, la sua propria nuova vita nella vita organica assai sorprendenti tra l’arte moderna e la fotografia. Ne metteremo in evidenza taluni più avanti.

Il dr. Otto Steninert stabilisce una distinzione tra la fotografia utilitaria e la fotografia creatrice: “La fotografia soggettiva esprime chiaramente e in forma elevata il momento creativo personale del fotografo in opposizione alla fotografia applicata, che serve a scopi banali e documentari”

Noi abbiamo da opporre a questa discriminazione di Steiner una serie di obiezioni. Alla fotografia  che giudica spoglia di valore artistico, egli oppone con una certa magniloquenza quella nella quale “il movimento creativo personale del fotografo” esercita una funzione fondamentale. No è legare troppo esclusivamente la fotografia del bello a una condizione non essenziale? Tale concezione ci sembra piuttosto superata. Che centrano quel momento creativo personale del fotografo?, quella soggettività?

Si è tenuto recentemente sul litorale belga un congresso di artisti, al quale partecipavano soprattutto scrittori e poeti, nel corso del quale fu affrontata la questione dell’arte-robot.

L’esame non lascia  sussistere alcuna visione inquietante per l’avvenire. Per noi il valore artistico di un’opera, la sua qualità, non sono legate all’uomo che l’ha fatta ma al suo potere emotivo, nei confronti di chi la contempla. In altre parole il valore di un’opera è nella sua forma e non nella sua genesi.

Bisogna stabilire una distinzione assoluta tra un albero superbo, un buon quadro ed una fotografia che, in seguito ad un felice concorso di circostanze accidentali ci sembra un 2capolavoro”? Ciò che importa è unicamente il piacere che viene offerto ai nostri occhi.

Possiamo molto bene apprezzare un’opera senza conoscere né la sua origine né il suo autore e senza soffermarci sulle doti di abilità di essa profuse.

Applicando l’ideale delle arti plastiche moderne alla poesia Gottfried Benn, l’espressionista tedesco, dice, a proposito della poesia moderna: “quello che importa non è l’artista, né gli elementi per mezzo dei quali un’opera d’arte è nata; è l’opera solamente, è il lirismo superiore delle parole, è l’oggetto reale, creazione novella dell’atto artistico”.

Ritorniamo così, in effetti, all’arte anonima, al precursore dell’arte che potrà anche essere l’opera di macchine secondo una tecnica di cui non possiamo ancora farci una minima idea – a meno che l’apparecchio fotografico e gli strumenti musicali elettronici non siano che l’avanguardia delle macchine artistiche di domani.

Protestando contro quel “momento creativo personale” non pensiamo solamente all’esperienza riuscita, ma anche alla microfotografia prodotta nei laboratori scientifici e che è l’opera di tecnici. Un mondo di bellezza plastica! Se avessimo un suggerimento da fare, sarebbe il seguente: Steichen costituì la su “Family of Man”. Perché non sarebbe possibile raccogliere in una esposizione dove la fotografia cantasse il cantico della creazione, un affresco di belle fotografie dove la fotografia d’arte “ready made” delle microfotografie, fotografie cartografiche e tecniche, radiografie, stesse accanto  alla fotografia d’arte vera? Suggerimento che intende illustrare soprattutto le concezioni artistiche moderne, che staccano il valore di un’opera d’arte da una genesi condizionata come la persona del suo autore e grazie alle quali la fotografia diviene un elemento molto brillante e appassionante del mosaico delle arti plastiche moderne. Personalmente siamo tentati di non tracciare una linea di demarcazione tra la fotografia utilitaria e la fotografia soggettiva o creativa (fotografia con intenti artistici) ma piuttosto tra la fotografia, puramente tecnica e la fotografai plastica per cui noi intendiamo un valore, un tenore, una fotografia schierata tra le arti plastiche. Questa fotografia procura la gioia degli occhi nel senso largo che abbiamo qui definito.

Essa è una festa per l’occhio, un suggerimento attraverso i mezzi plastici, una  fotografia illeggibile, affascinate. Qui la fotografia soggettiva di Steinert è incontestabilmente nel suo regno.

L’altro genere di fotografia è la fotografia leggibile, quella che formula una esattezza e con precisione ciò che desidera esprimere. Essa non rivela nulla: informa semplicemente. Veniamo così trascinati verso nuove esplorazioni  nel regno della fotografai considerata come linguaggio espressivo. Potrebbe darsi che questo viaggio ci insegni che la frontiera da noi tracciata è in certo modo una zona deliquescente… 

Nell’attesa l’apparecchio fotografico resta, per la maggior parte della gente, una piccola scatola musicale, per altri un organo dai mille registri.