Officina delle Immagini, Massenzio Arte 2005 Massenzio Arte 2005

 

 Work in Progress

Domenico Di Bona (fotografia); Maurizio Chelucci (fotografia); Carlo Gianferro (fotografia): Lughia (installazione); Giandomenico Marini (fotografia); Adamo Modesto (pittura); Laura Peres (fotografia); Paco Del Pino (fotografia)

 

                 recensioni

 

              

Giandomenico Marini     

   

                              

 

Perché work in progress… sugli studi d’arte?

Perché non solo gli esami, come  diceva  Edoardo, non finiscono mai:  anche i lavori non finiscono mai.

Per noi , abituati da sempre a  lavorare con le mani, essi  sono il banco di prova della nostra fede nella contemporaneità  e nell’evoluzione,(sempre che esista). Si  amplia  Il terreno della ricerca del bello, da farsi con mezzi  poveri  e  con scarse possibilità. Solo coloro per i quali il recupero e la riconversione sono una VERA NECESSITA’ danno  a questo termine un significato creativo. Ormai tutti parlano di recupero e di riconversione; si chiama in causa l’ecologia, l’economia e la globalizzazione, e si raffrontano questi  temi ad un mondo non più ricettivo al nuovo, e voglioso di ordinare l’esistente, senza invadere altri spazi. Ma la vera domanda da porsi è – quale riconversione, quale globalizzazione, quale recupero?- Preservare spazio agli uomini non significa soltanto prendere coscienza del riutilizzo degli scarti a protezione dell’ambiente: è anche e soprattutto ottimizzare le risorse ed intraprendere un cammino di ricerca del bello nei luoghi dove non appare ad un primo sguardo disattento. Insomma, prima  di riconvertire lo scarto per produrre ricchezza, perché non esaminarlo per produrre bellezza?  La funzionalità non è sempre bellezza, ma la bellezza è sempre funzionale ad un ambiente sano.Soprattutto è realizzare che nelle cose minime, nei “minimaminimalia” deve iniziare la ricerca di nuovi canoni estetici contemporanei: il minimalismo, l’oggetto ritrovato e scoperto sono correnti dell’arte solo marginalmente propedeutici a questa ricerca; ricerca che, tuttavia, deve invertire  rispetto a queste correnti, la sua rotta di indagine. Non si tratta  di scoprire un oggetto che esprima forme o concetti che si uniformino ad un bello preesistente ed antico; non si ricerca la bellezza codificata o il concetto che presuppone una componente storica del pensiero, anche archetipale. Si tratta semplicemente di confrontarsi con ciò che casualmente troviamo, che il più delle volte è frutto di abbandono o disattenzione, per  scoprire, in qualunque cosa il caso ci ponga di fronte,un significato nascosto ed un collegamento senza tempo con il tutto, atti a restituire dignità alla cosa ed all’osservatore.

Perché applicare allo scarto della natura o dell’uomo i canoni estetici  mutuati dalla storia dell’arte è una violenza che noi facciamo A QUELLE COSE CHE IL CAOS ED IL CASO CI PONGONO INNANZI.  Anche l’architettura non sfugge a questa regola. Se in natura non esiste la linea diritta un motivo deve pur esserci; se nel mondo reale è il caos che domina gli eventi, perché ostinarsi a  ricreare un ordine sottostante?

In questa dinamica delle cose l’occhio fotografico aiuta : la foto, a differenza dell’artista, guarda e non giudica: riprende anche ciò che il fotografo non cercava e vedeva nell’istante dello scatto. Particolari e cose che nascono dalla luce e dall’ombra per affermare non visti la propria esistenza, oltre ed al di sopra delle discariche.

Work in progress significa che quanto è stato fotografato e riutilizzato anche per un solo istante, perché elemento casuale e fortuito nella attività lavorativa di produzione,  il pubblico non lo rivedrà dal vero, nella realtà espositiva, perché probabilmente inviato alle discariche senza alcun senso di gratitudine. Ma è proprio quel che non si troverà più, esistente solo per un attimo nello scatto del fotografo, ad aver  diritto di cittadinanza in questa  ricerca di un bello concettualmente diverso. Il sudore degli operai e le loro mani; il sorriso del riposo nell’attimo della foto, le loro vuote bottiglie di acqua: nudi componenti di arredo apparentemente desueti. Avanzi di ferro, pezzi  di legno di scarto, cartoni per imballo che hanno completato il loro destino. Tutti avanzi di vita di cose apparentemente passate, con un pezzetto di anima da rispettare, amare e riscoprire.

Amare anche le cose non è vergogna: insomma non è blasfemo. Fissare l’attenzione a tutto, con una predisposizione di amore, curiosità e voglia di comprendere anche la cosa, oltre che le persone, per assimilarne l’intima struttura, aumenta , estende i canoni del bello. Se la bellezza dovesse preesistere al nostro sguardo, tale atteggiamento potrebbe ampliare la nostra coscienza, ed aggiungere alla vita un aspetto che ancora non ci era apparso chiaro e conoscibile.

Chissà  quanta energia e luce è ancora presente in quello che abbandoniamo. Le cose vecchie hanno un’anima che quelle nuove non hanno.  Pertanto, quando lavoriamo ,fermiamoci  ogni tanto a fare questa ricerca. Non getteremo via insieme agli scarti una parte della nostra stessa vita. Si  potrebbe anche scoprire che la bellezza è nel percorso, e non  nel punto di arrivo.

Per questo Work in progress …per  Massenzio arte 2005 

Alessandro  D’Ercole

                                                                                                        

Organizzazione Massenzio Arte 2005 s.r.l.  www.massenzioarte.it

Direzione: Maurizio Chelucci

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