Officina delle immagini, Giulia Robinson racconti
Vernissage

Giulia Robinson

 

        racconti

(New York - 1999)

Era il giorno dell’inaugurazione della mia mostra organizzata presso un’importante libreria della città. C’erano artisti e gente qualunque ed io cercavo d'intrattenere gli ospiti nonostante il carattere schivo mi suggerisse di fuggire.  

Avevo superato brillantemente l’arrivo di una delle mie amiche:  Lisa, è così che si chiama. Il suo vero nome è orgasm-fiction, poiché riesce a simulare anche quindici orgasmi in un giorno. Le sue amiche più intime dicono che l’unico che ebbe fu in treno, quando una frenata brusca la scaraventò sul bracciolo del sedile di fronte.  

La serata proseguiva con l’arrivo di un fattorino che consegnò per me cinque bellissime rose rosse. Il loro arrivo aveva suscitato sorpresa e meraviglia da parte dei presenti. Non avevo dubbi sul mittente, era la mia amante che viveva in un’altra città. M'accinsi a leggere il biglietto che conteneva questa frase: “Il profumo di questi fiori faranno rinascere il nostro amore.  Sara”. Abbracciai le rose come se la stringessi veramente, aspirando profondamente il profumo: era intenso e rimasi estasiato. 

 

D’un tratto sentii la testa leggera,  sbandai un po’ e mi appoggiai ad uno scaffale. 

Cercai di capire se gli ospiti avessero notato la défaillance, ma fortunatamente era passata inosservata. Odorai ancora le rose. Ebbi un altro mancamento. Lisa se ne accorse e disse quasi urlando: - Hai bevuto troppo, come il tuo solito!   

Sorpreso dalla sua esclamazione, sapendomi quasi astemio e sentendo di non avere la forza di rispondere, cercai di far finta di niente ma una strana sensazione s'appropriò di me e della mia mano. 

Le andai incontro afferrando una bottiglia di vino ed esclamai: - Brindiamo!  

Gli ospiti, stupiti di questa improvvisa animazione della serata presero anche loro i bicchieri e brindammo tutti insieme. Subito dopo le sussurrai, accarezzando lentamente il collo della bottiglia: “Ti potrei paragonare ad una colica renale”.  

Una vampata di rossore inondò - forse per la prima volta - il viso di Lisa, che restò, finalmente, senza parole.  

 

Ritornai ad aspirare le rose. Vedevo immagini inusuali per una libreria. Sugli scaffali non più libri in ordine d’autore ma würstel di tutte le misure che invitavano a farsi mordere. Chiesi a Lisa se anche lei vedeva il critico del New York Times che, completamente nudo, seduto sull’unica poltrona si faceva trastullare dalla nuova promessa della pittura new-pop. Lei mi guardò ancora più stupita e indietreggiando esclamò: “Neppure io ho osato tanto!”  

Mi diressi verso la toilette. La trovai occupata dagli autori dei libri rimossi dagli scaffali che protestavano contro l’abuso di potere di würstel. Erano tutti in fila accucciati a produrre con le loro feci omini che man mano s'ingrandivano dirigendosi verso la libreria. Mi buttai dell’acqua fresca sul viso e fortunatamente le immagini scomparvero. Tornai alla mostra. Pensai a Sara e odorai le rose. La gente continuava ad  arrivare

 

Ero vicino alla macchina delle fotocopie. Mi sentii trasportato verso di essa. La mia testa s'appoggio automaticamente sulla lastra di riproduzione. Cominciai a spingere il pulsante d'avviamento. La luce m'accecò gli occhi. Uscì un primo foglio: “Voglio fotocopiare i miei pensieri, tutto quello che mi passa per la testa”, e altri ne seguirono. “Mi piace quella con in mano il libro della Paglia: ha un non so che di perverso”,  “La politica non mi suscita niente preferisco menar il can per l’aia”, “I critici sono tutti ottusi senza gusto o frigide entraîneuse”... “Non so cosa mi succede, chiedo scusa”. 

Mi rialzai immediatamente. I fogli erano finiti  tra le mani dei più curiosi. Cercai di recuperarli giustificandomi: “Non ci fate caso, fa parte della mostra... una piccola performance”.  

Tutti s'entusiasmarono tanto che gridarono al nuovo genio, all’innovatore, ad una nuova linea artistica. Tirai un sospiro di sollievo e sentendo una gran nostalgia di Sara che, in questa situazione così strana, mi era lontana annusai le rose. “Accidenti!” esclamai, strofinando gli occhi, “vedo di nuovo ciambelle di feci che si trasformavano rapidamente in umanoidi che parlavano tra loro!” 

Avvicinandomi ad uno di loro e, sempre trasportato da chissà cosa, gli dissi: “Tu si ‘n ommè merda!” lui mi guardò, mi sorrise ed esclamò: “Mi ha riconosciuto! Bravo! E, come può vedere, non sono solo! Bella festa! Fortunatamente non ci sono eroi questa sera. Quelli si danno un sacco di arie... sono pericolosi, fanatici: rincorrono la giustizia, la verità, senza sapere che senza di noi non c’è giustizia, non c’è verità!”. 

Ebbi la forza d'allontanarmi per arrivare alla toilette, lasciai la porta aperta e tirai lo sciacquone. Le ciambelle umane terrorizzate cominciarono a gridare “Sta arrivando il giustiziere. Presto, fuggiamo!” e scapparono via.  

 

Quasi terrorizzato, chiesi  alla libraia di rimettere i volumi negli scaffali. Questa mi guardò sorpresa assicurandomi che tutto era al suo posto. Mi voltai. I libri erano ordinati come prima: niente würstel e niente ciambelle di feci. Ero stremato. Lisa, ignara di tutto, continuava a ripetere che non si era mai annoiata tanto in vita sua come in quest'occasione e mi propose di continuare la serata a casa sua. Telefonai a Sara. La linea era occupata. Aspirai profondamente le rose cercando di ricordare il suo profumo, il suo viso, le sue gambe, il modo in cui ci prendevamo sul pavimento. Lei era così sensuale... D’improvviso distolsi lo sguardo da quel ricordo, attirato dall’immagine degli ospiti che piegati in due cercavano sotto gli scaffali, frugavano sotto i tavoli. Domandai cosa stesse succedendo. Uno di loro mi rispose prontamente: “Ho perso il controllo, spero di ritrovarlo!” “Io, invece, ho perso la pazienza quando lui ha perso il controllo e non credo che la ritroverò!”  

I due, con il naso l’uno di fronte all’altro, erano pronti per azzuffarsi. Una ragazza, rialzandosi, intervenne: “Ah! E’ così che reagite. Cosa dovrei dire io che ho perso il mio uomo per colpa vostra! (disperata) Non riesco a vivere senza di lui era un uomo tutto d’un pezzo, glaciale e qui fa un caldo insopportabile. Sono a pezzi!”  

Una protesta collettiva si levò nell’aria. Ognuno aveva perso qualcosa d’importante. Cominciai a tossire ininterrottamente. Sentivo urla e strepiti e tossivo, tossivo. Vidi vagamente una figura che nei tratti e nei modi sembrava Lisa: “Cosa ti succede? Smettila di tossire!”  

Stavo quasi per soffocare, tentai di spiegare: “Mi è ... andata ... di... di traverso l’amore.... aiut....”. 

 

Svenni sul pavimento. Mi fecero riprendere con degli incensi. Chiesi di fare una telefonata.  Volevo odorare ancora le rose: ma mi accorsi che erano completamente appassite. Chiamai Sara. Volle sapere del vernissage, le risposi che tutto era andato molto bene e che non avevo mai provato sensazioni così forti grazie... al suo dono. Non fece caso alla mia precisazione e proseguì la conversazione comunicandomi che non sarebbe potuta ritornare in città come previsto. Ci rimasi male ma non potei però fare a meno di chiederle di inviarmi altri fiori dello stesso tipo. Sorpresa dalla mia richiesta, sorrise e mi disse: “Cosa avranno di tanto speciale queste rose?”. 

Le risposi: “del talento”.