Alessandra Fagioli racconti, Alessandra Fagioli
I negativi di Picasso

Alessandra Fagioli

 

        racconti

Il colore è un mezzo per esercitare

sull’anima un’influenza diretta.

Il colore è il tasto, l’occhio il martelletto che lo colpisce,

l’anima lo strumento dalle mille corde.

Vasilij Kandinskij

Non si poteva certo dire che avesse una sua personalità, anzi, a pensarci bene, non ne aveva proprio nessuna. Angelo era una persona così ordinaria da essere privo di qualsiasi caratteristica particolare. Era impressionante quanto il suo comportamento poteva risultare equilibrato, ineccepibile, esemplare e nello stesso tempo terribilmente insignificante. Tutto quello che faceva, che pensava o che diceva non aveva alcun peso nella realtà, non lasciava traccia, si disperdeva subito nel nulla. Angelo sapeva di esistere, aveva cercato di dare anche un senso alla propria vita, ma si accorgeva che per gli altri era come se non ci fosse, passava del tutto inosservato, privo di qualsiasi identità.

Sforzandosi di seguire i percorsi di un ragionamento lineare concluse che l'unico modo per farsi notare era quello di essere esattamente come gli altri, attraverso la messa a punto di un'adeguata imitazione. Se lui non aveva una propria personalità l'avrebbe copiata da altri a seconda delle circostanze in cui si sarebbe trovato. Una personalità per tutte le occasioni, conveniente e misurata come la sua normalità gli suggeriva. Così Angelo, con puntualità camaleontica, cominciò a inserirsi in società adattandosi al contesto, assumendo atteggiamenti consoni, acconsentendo alle opinioni più comuni, riflettendo modi, espressioni e vezzi come in uno specchio, finché gli altri cominciarono ad accorgersi di lui solo per la sensazione di avere accanto un duplicato di se stessi.

I risultati furono tra i più variegati: c'era chi si compiaceva di guardarsi riflesso come un Narciso, chi si divertiva più astutamente a fare la parodia della sua imitazione, chi invece si irritava con sdegno credendosi beffato. Angelo, tuttavia, era un uomo semplice ma non stupido, e in breve tempo si accorse che attraverso l’imitazione finiva con l’acquistare un’immagine equivoca, a volte derisa, se non addirittura fraintesa. Per giunta nemmeno a lui piaceva essere uguale agli altri: apparentemente poteva sembrare facile, ma alla fine era faticoso, i modelli erano tanti e gli stili diversi. Imitare significava essere tante cose insieme, mai una cosa sola. Significava molteplicità, versatilità e trasformismo che mal si conciliavano con l'elementare semplicità di Angelo.

Però, se ci pensava bene, non ci voleva molto a capire che per acquistare un po’ di personalità era meglio distinguersi piuttosto che uniformarsi. In fondo faceva più identità un’opposizione vigorosa piuttosto che una sottomessa imitazione. Polemica, contrasto, dialettica, ecco quello che ci voleva per emergere, interagire, distinguersi. Lo stesso Angelo, nella piattezza della sua normalità, rimase sorpreso della sua singolare intuizione. Così si mise subito all'opera e con lo stesso ingenuo candore con cui aveva assecondato le diverse situazioni, si mise a cercar grane, seminare zizzania, fomentare attriti e scatenare ire ovunque si trovasse. Ma non possedendo una propria autonomia di pensiero finì col dire sempre l'opposto di ogni cosa, col prendere di petto i suoi interlocutori o con l'assumere posizioni contrarie per partito preso, senza mai riuscire a ragionare per conto proprio.

Anche in questo caso i risultati furono alquanto articolati, ma quasi tutti disastrosi. I più civili rimanevano interdetti, ma cercavano di mantenere un controllo d'etichetta. I più ironici trovavano sempre lo spunto per alimentare l'alterco fino a renderlo ridicolo. Poi però c'erano i più permalosi che, non avendo ritegno né capacità di stare al gioco, finivano con lo scatenare un vero putiferio. Angelo, nella sua mediocrità, faceva quasi sempre le spese per tutti, finché non comprese di aver scelto una strategia non troppo adeguata. Se l'imitazione speculare non portava a grossi risultati, l'opposizione immotivata poteva rivelarsi deleteria.

Ma fuori dallo schema binario dei contrari egli non riusciva proprio a ragionare. Sperimentata una soluzione e il contrario di quella non intuiva altre possibilità. Non c'era niente da fare, non si poteva spremere sangue da una rapa. L'incapacità di esprimersi di Angelo era assiomatica, connaturata e lasciava pochi spazi ad altri tentativi. Non rimaneva che sprofondare di nuovo nell’inutile quotidianità di un'esistenza del tutto irrilevante. Ma questo gli sarebbe costato ben poco se non ne avesse avuto coscienza. Invece in fondo al suo animo si agitava un insidioso moto di disappunto, nelle sue vene scorrevano curiosi fremiti di insofferenza, tutto il suo corpo sembrava volersi scuotere da quello stato di torpore mentale, andando alla ricerca di inaspettate evasioni, insoliti slanci e originali soluzioni.

Tuttavia Angelo non aveva mai posseduto particolari interessi, né tanto meno sviluppato qualche specifica dote. Faceva un mestiere come tanti, viveva in una casa come tante, conduceva una vita tristemente vuota, priva di stimoli e risorse. Però da sempre aveva nutrito una bizzarra curiosità: gli piaceva osservare con attenzione i negativi delle fotografie. Fin da piccolo si divertiva a guardare in controluce le lunghe strisce di pellicola nera che trovava nella camera oscura del nonno, per poi confrontarle con le immagini a colori appese al filo ad asciugare. Agli inizi era attratto semplicemente da quelle enormi macchie bianche che nelle foto assumevano la forma di corpi scuri, oppure da strani contorni tenebrosi che una volta stampati sprigionavano una forte luminosità. Col passare del tempo, però, a forza di continui riscontri tra il bianco e il nero o il chiaro e lo scuro, Angelo cominciò ad apprezzare le diverse sfumature di grigio che rimanevano impresse sui negativi. Continuando a tenere gli occhi incollati sulle pellicole sviluppate, finì con l'indovinare tutta la gamma di colori che sarebbero emersi dalla stampa soltanto sulla scorta di impercettibili variazioni acromatiche.

Ma il giorno che il nonno morì Angelo si ritrovò improvvisamente privo delle preziose immagini che emergevano quasi per magia dalle bacinelle piene di acidi della camera oscura. Suo nonno aveva avuto da sempre due grandi passioni: l'architettura monumentale delle grandi città e la natura selvaggia delle isole esotiche. Le immagini che Angelo aveva visto per anni al negativo erano riproduzioni di palazzi munifici, preziose vestigia, cupole somme e torri imponenti, in mezzo alle quali esplodevano vertiginose scogliere, foreste contorte, spiagge accecanti bagnate da spume oceaniche. I colori sui quali aveva esercitato la sua "lettura al negativo" erano dunque il grigio pallido del travertino, il giallo spento dei ruderi, il rosso cupo dei campanili, oppure il bianco adamantino della sabbia, il marrone sbiadito delle rocce, il blu notte del mare: tutti colori algidi, tenui, opachi, oppure molto carichi e intensi.

Dal nonno, naturalmente, Angelo non aveva ereditato la minima vocazione per la fotografia e ancor meno era riuscito ad acquisire la tecnica: sapeva interpretare un negativo, ma non riprodurre un'immagine. Mediocre nell'animo, ottuso nell'ingegno, ora si sentiva anche orfano di quelle buie icone i cui oscuri riflessi gli avevano acceso una morbosa curiosità. Al punto che gli capitava di osservare con insofferenza, se non con una punta di sdegno, le foto che gli amici a volte gli mostravano, trovandole pacchiane, volgari, addirittura arroganti rispetto all'ambiguo e tenebroso mistero che rimaneva impresso sui negativi.

Un giorno però gli capitò di essere invitato all’esposizione di un fotografo stravagante che scattava foto soltanto a quadri d'artista. Egli sosteneva che le sue "riproduzioni" erano fantasiose reinvenzioni di opere originali e dunque esse stesse opere d'arte. Ad Angelo, per la verità, sembravano soltanto piatte fotografie di quadri o di statue, prive di ogni valorizzazione del colore o del volume che avrebbe potuto arricchire di senso la riproduzione. Pareva assurdo, ma proprio quelle immagini che nella loro diafana impersonalità potevano trovarsi in sintonia con l'aridità d'animo di Angelo, al contrario lo indisponevano, gli provocavano un senso di disappunto, quando addirittura non gli suggerivano l'idea di una frode d'arte. Se non altro, la lunga frequentazione dei negativi di pellicole gli aveva sviluppato una notevole perizia non solo nel tradurre le sfumature acromatiche in colori distinti, ma anche nel valutare le stesse riprese fotografiche. Il nonno, d'altronde, era stato un estroso reporter che non si era mai compiaciuto di riprodurre la realtà così com'era, e le sue immagini avevano lasciato impressa la loro originalità anche su quei negativi che erano stati per Angelo una preziosa scuola di sensibilità.

Vagando irritato tra quegli scialbi simulacri di opere somme, capitò per caso di fronte a un lungo e stretto corridoio che finiva nel buio. Attirato dalla sua ancestrale passione per l'oscurità, vi si avventurò fino a raggiungere il fondo che finiva con una porta. L'aprì con un’ombra di sospetto ed entrò in una stanza buia. Cercò a tentoni l'interruttore e accese la luce. Di colpo si illuminò sotto i suoi occhi un'ampia, completa e attrezzata camera oscura. Sulla sinistra procedevano allineate tre bacinelle colme di liquidi dall'odore acidulo e il colore giallastro, sul piano di fronte si trovavano forbici, pinze, bastoncini e mollette in ordine sparso, mentre lungo il lato destro scorreva un filo con qualche foto appesa che ancora sgocciolava. Quasi d'istinto, come preso da un raptus, Angelo si precipitò verso un armadietto incastrato in un angolo e cominciò ad aprire tutti i cassetti. Con uno spasimo voluttuoso mise sottosopra tutto quello che trovò: obiettivi, panni, rullini, salvalenti, cartelle... finché finalmente non riuscì a scovare i tanto sospirati negativi.

Già, erano proprio loro, buttati lì, alla rinfusa, senza riguardo, come fossero scarti di un'opera che in fondo non era nemmeno valsa la pena di sviluppare. Angelo accese la lampadina che penzolava sopra il tavolo di lavoro e con una premura quasi chirurgica si mise a scorrere in controluce i frammenti di pellicola. Eccoli là i dipinti, le incisioni, i marmi, le colonne che l'amico aveva tanto diligentemente riprodotto... da quella più chiara a quella più scura si potevano facilmente indovinare le diverse tonalità di luce che avevano sprigionato le immagini dal vivo... Così senza la minima esitazione Angelo riuscì a identificare le diverse opere semplicemente dalle loro impressioni negative: quei due corpi scuri uniti in un abbraccio sensuale era Il Bacio di Rodin... quelle figure ombrate intorno ad un grande tavolo era L'ultima cena di Leonardo... e queste torri così eccentriche e movimentate non era forse il Parco Guell di Gaudì? E via via ecco la sagoma bianca che rappresentava il corpo nero su sfondo blu dell'Icaro di Matisse... mentre quella massa chiara sdraiata su un piano di legno era senz'altro una Figura in piombo di Moore... e cosa dire di questa pioggia nera che rispecchiava le bianche cascate intorno alla Casa Kaufmann di Wright?

Sempre più rapito da quei chiaroscuri tanto contrastanti, Angelo continuava a sfogliare febbrilmente i tagli di pellicola usciti miracolosamente dal cassetto. Pur sentendosi diviso tra l’ansia del ladro di essere colto in flagrante e la voluttà del guardone di divorare immagini con gli occhi, tornava a osservare infinite volte le stesse figure con un tale ardore, che nessuna delle foto esposte nella mostra era riuscita a trasmettergli.

Ma ecco, a un tratto, qualcosa di assurdo, di grottesco, di curiosamente inconsueto. Tra tante macchie grigie contornate di bianco su sfondo nero, comparirono improvvisamente alcuni colori... sì, si trattava proprio di colori vivaci, intensi, marcati... Angelo credé di sognare... quello che vedeva non erano le solite variazioni di grigio più scure o più chiare, ma certe curiose sagome colorate di verde, viola, celeste, marrone... Sforzandosi di capire cosa fosse fu all'improvviso illuminato da un'intuizione: ma sì, ora ricordava... si trattava dei quadri cubisti di Picasso! Quando aveva visto le foto che li riproducevano era rimasto colpito dal concerto cromatico che sprigionavano quelle forme sinuose e articolate. L'azzardato accostamento di tinte così contrastanti come il giallo limone, il verde pisello, il rosso magenta o il lilla ciclamino, all'interno di forme surreali o astratte, esprimeva appieno il genio artistico del grande pittore. Ora però Angelo si trovava tra le mani quelle sagome riprodotte "all'incontrario", dove i colori così brillanti non si tramutavano in ombre opache ma in altrettanti colori accesi, ricreando al negativo una nuova opera d'arte. Ripensando ai quadri originali egli riuscì a individuare come nei negativi il rosso virasse in verde, il giallo si tramutasse in blu, il marrone divenisse celeste e il verde trascolorasse in viola. Era come se l'impronta dell'originale non rispecchiasse il suo esatto contrario ma una singolare variante, in cui rimanevano costanti i contorni delle forme, mentre variavano le tinte.

Angelo rimase ancora per qualche minuto a fissare incredulo quei fotogrammi. Poi con uno scatto improvviso distolse lo sguardo e rimise rapidamente i negativi dentro il cassetto. Senza indugiare oltre infilò la porta della camera oscura e si precipitò lungo il corridoio verso la sala. Arrivò col fiatone, una terribile ansia e la faccia sconvolta in mezzo alla gente che lo guardò sconcertata. Ci mise un po' per ridarsi un contegno e con uno sforzo supremo cercò di tornare alla sua consueta normalità. Ma per quanto si desse da fare era perfettamente cosciente che da quell'istante la sua vita era cambiata di colpo. Tutta l'esperienza costruita intorno alla paziente osservazione dei negativi era svanita d'un soffio. Le ponderate deduzioni, le verifiche attente, le illuminate intuizioni maturate negli anni non avevano lasciato più traccia. Era come se un intero modello di percezione avesse rivelato tutta la sua insensatezza... ma allo stesso tempo avesse suggerito una nuova modalità di visione.

Fu proprio allora che Angelo si sentì attraversato da un autentico brivido di follia... ecco dove si nascondeva il vero segreto dell'autenticità... nel viraggio del colore! Certo! Non era un bianco che diventava nero oppure un grigio che occultava un altro colore pallido o sporco... No! Era nella trasformazione radicale di una tinta in un'altra... era il magico trascolorare di una dominante in giallo in una dominante in rosso... era il verde che diventava viola, il marrone turchese, l'arancio blu e il rosa indaco... Era lì che riposava il seme dell'originalità! Non nell'imitazione... non nell'opposizione... ma nella variante cromatica! Nella risposta a una gradazione con un'altra gradazione... a una sfumatura calda con una sfumatura fredda... in una spirale di invenzioni giocata su un dialogo di ombre e di luci che finiva con l'esplodere in un’autentica trasfigurazione poetica! Proprio da quel buio ermetico dei negativi si era sprigionata l'illuminazione risolutiva di Angelo. Ora aveva la chiave... la chiave per diventare diverso, interessante, originale, persino un po’ eccentrico. Ora sapeva cosa doveva fare per liberarsi della sua conformità... cercare, scovare, inventare per ogni forma una nuova variante.

Inizialmente in modo schematico, poi affinando una sensibilità personale, Angelo cominciò a fare le proprie scelte: aveva vestito sempre di nero o di blu, ora sfoggiava abiti in verde, turchese e viola, tenendo conto della compatibilità dei contrasti; l'arredo della casa era sempre stato ordinario, ora lo vivacizzava con un'impronta a volte liberty, a volte naïf; sul lavoro aveva sempre avuto un atteggiamento servile, ora si proponeva attraverso soluzioni brillanti per ogni tipo di circostanza; la sua indole tanto stupida e inerme aveva sempre indisposto gli amici, ora sorprendeva per vivacità immaginativa e prontezza di spirito.

Giocando così sul modello della variante Angelo si trasformò a poco a poco da persona scarsa, mediocre, banale in un personaggio stravagante, bizzarro e un po’ pazzo. Il suo salotto divenne luogo esclusivo per feste, giochi e spettacoli, i colleghi di lavoro lo cercavano per ottenere buoni consigli, gli amici gli giravano intorno per trarne divertimento, le donne si accapigliavano per conquistare la sua attenzione, in una baraonda generale in cui Angelo non sapeva più a chi dare il resto.

Sempre ignorato, criticato, deriso... ora si ritrovava al centro dell'attenzione... fonte di spirito, motore di allegria, esempio di inventiva, modello di originalità... imitato nello stile, seguito nelle idee, desiderato per il fascino, ammirato per l'umore... Ormai era diventato Angelo l'estroso, Angelo il fantasista, Angelo l'intuitivo, Angelo il ribelle... Mille Angeli caduti dal cielo con tutti i colori dell'arcobaleno, che mutavano in continuazione a seconda di imprevedibili varianti... In fondo tutti Angeli allegramente variopinti ma privi di qualsiasi autonomia... simulacri di persone... passerelle di pupazzi... caroselli di maschere senza identità... crogiolo di feticci... incastro di attrazioni... caricature fatiscenti di sfuggente vacuità... Ecco, questo era il vero Angelo che alla fine era diventato: esaltato, geniale, maniaco, incosciente, risoluto e pazzo.

Trascorse in questo modo i suoi giorni di gloria e i suoi abbandoni cromatici, sempre diviso tra la sperimentazione di nuove varianti e la frantumazione di innumerevoli Io, trasformandosi senza sosta in autore ingegnoso della propria personalità e in vittima ignara di una realtà impersonale, allo stesso tempo ambivalente e sdoppiato, molteplice e unico, finalmente qualcuno nel momento in cui non era ormai più nessuno.

Pareva che alla fine avesse trovato la sua strada, certamente un po' stravagante, ma pur sempre originale, che sembrava potesse portarlo molto lontano, per lo meno lungo i balzani percorsi delle sue imprevedibili trasformazioni. Angelo continuò a vivere sempre così, abbandonandosi all'estro e seguendo l'intuito, senza più provare però l'antico stupore nell'osservare quei cromatici negativi che avevano tanto stravolto la sua vita. Solo un'immagine fece eccezione, che ingrandita cento volte e incorniciata sopra il divano non si stancò mai di contemplare: era l'immenso, maestoso, affascinante negativo di Guernica.