mille artisti per lunità

   mille artisti per l'unità

  

 

Vitaldo Conte 

Dispersione come arte per ‘guardare’ unità interiori

L’arte, entrando dentro l’esistenza come essenza e presenza quotidiana, può essere “guardata” ovunque con qualunque linguaggio, materiale, comportamento, e presentata in qualsiasi spazio che diviene ‘luogo’ creativo, se delegato come tale dalla scelta dell’autore e dalle sue relazioni pericolose.
L’arte del Novecento, dalle avanguardie storiche ad oggi, oltre il Duemila, ha evidenziato, con qualche ricorrente riflusso (determinato, anche, per esigenze di mercato), la tendenza alla sparizione dei suoi specifici e di se stessa divenendo sempre più creatività di “contaminazioni” e “fusioni” (dei linguaggi, dei sensi). Il visibile dell’arte è ancora esprimibile in possibili letture e immagini che, talvolta, possono emergere con una profondità “leggera”.
La dispersione può vivere, spesso, in un altro linguaggio, portandosi dietro la memoria della sua originale esperienza, “travasata” in altri campi che non dovrebbero essere quelli di propria pertinenza. Questa condizione accomuna le espressioni creative contemporanee: essere perennemente altrove, rispetto agli ambiti tradizionali di partenza, svuotando il potenziale significante del proprio specifico: assottigliato, mascherato, evaporato, trasferito nella quotidianità e nella vita circostante e propria.
La contaminazione dei generi artistici può vivere in ogni creatività, anche dentro apparenze tradizionali. Qualunque tecnica può andare bene per esprimerne i territori e gli stili: fluidi, ibridi, molteplici, mutanti, conflittuali, sintetici, dilatabili. Come, appunto, possono essere le palpitazioni di uno sguardo.
Il palpito di uno sguardo, “fuoriuscito” dal proprio occhio, cerca o tende, infatti, a cercare “qualcosa, qualcuno. E’ un segno inquieto: dinamica singolare per un segno: la sua forza lo deborda” (R. Barthes). Può ricercare una sua sinestesia perturbante, “liberante” le esterne anomalie e le pulsioni occluse, divenendo lo specchio e il riflesso delle altrui proiezioni - di possesso e desiderio - senza più ricercare il filo rassicurante di un appoggio o approdo per la sua visione.
“Ho già visto i poeti mutare, e rivolger lo sguardo verso se stessi.” (F. Nietzsche)
La dispersione ‘a tutto campo’ dello sguardo creativo - per esistere e amplificarsi - deve essere “unita” dal filo della coscienza dell’autore e dalle sue pulsioni di desiderio e anomalia: senza l’esistenza di questo i vari frammenti possono rischiare di perdersi nello sbiancamento borderline dei significati e delle apparenze.
- L’unità - come somma delle nostre molteplici facce è un insieme mobile e sensibile alla modificazione: il suo perdersi, talvolta, è il passaggio verso unità più consapevoli.
L’unità, dunque, può rappresentare la dialettica delle sue creative e seducenti separ/azioni da ‘guardare’. 

Ivana d’Agostino 

In Mille per l’Arte con le camicie rosse tinte con i colori per le stoffe

Non è nuovo Giuseppe Salerno, curatore dell’interessante iniziativa Mille artisti per l’Unità. Omaggio a Giuseppe Garibaldi, ad operazioni culturali la cui attrattiva, oltre ad essere sollecitata da precise scelte a tema, lo sia anche sotto il profilo numerico, solitamente rilevante, degli artisti partecipanti ai suoi progetti.
Esiste una naturale continuità – sebbene gli argomenti preposti alle iniziative siano evidentemente diversissimi – tra l’operazione L’arte seduta:cento sedie per cento artisti da lui recentemente curata (un riesame ampliato delle ventiquattro sedie esposte a Calcata nel 2005), e questa; il cui numero d’artisti partecipanti, nel frattempo, è doverosamente cresciuto in maniera esponenziale, adeguandosi al tema storico che le si sottende, del glorioso sbarco dei Mille, senza il quale oggi non si potrebbe parlare di Nazione italiana.
Sostenitore strenue dell’arte intesa anche come gioiosa, e giocosa, esaltazione della diversità dei linguaggi, percorribili nei sensi i più pluridirezionati possibili, l’operazione Mille Artisti per l’Unità assume il senso di partecipazione estesa di tutte le possibili differenze: nessuna sperimentazione artistica, in quest’ottica, è preclusa venendo a tutte data la possibilità di esserci con identica dignità. Il piccolo formato (50X50), posto come unico elemento condizionante per partecipare all’evento lo è, evidentemente, per ragioni squisitamente tecniche di contenimento fisico delle opere dei “mille artisti in camicia rossa” negli spazi del Mitreo di via Mazzacurati. Un po’ per fare festa e in qualche modo coerenti ai modi che furono di Bartolomeo Pinelli – d’altronde siamo a Roma – e alle sue incisioni sui Costumi pittoreschi, gli artisti già si prodigano da tempo nel tingere adeguatamente in rosso camicie e blusotti per la ricorrenza, animati, inoltre, da un rinnovato spirito scapigliato contemporaneo che li dispone convenientemente a sostenere baldanzosamente, e liberatoriamente, le differenti specificità .
Ma al di là dell’aspetto ludico, di “piacevole e festosa gazzarra tutti insieme appassionatamente tinti di rosso con i colori per le stoffe”, l’occasione di ricordare il duecentennale della nascita di Giuseppe Garibaldi, ci deve indurre a riflettere. Nessuna festa sarebbe oggi possibile se non ci fossero date le basi per uno Stato democratico, che consente a noi oggi l’espressione individuale e il libero pensiero, sui quali, e solo su di essi, è possibile pensare l’esercizio e il sostegno di tutte le diversità, artistiche e non. 

Alessandro D’Ercole

Garibaldino fino all’unità


Se qualcuno mi chiedesse perché mi sento Garibaldino risponderei che il mio sentirmi garibaldino deriva da come io immagino che Garibaldi fosse. Garibaldi socialista: forse; massone, certamente, ma soprattutto e sicuramente un uomo libero e profondamente egoista. Vi chiederete perché profondamente egoista? Perché anarchico individualista fino al midollo; così, almeno, io l’immagino; anarchico e conoscitore di Max Stirner, attraverso il quale aveva sicuramente compreso la formula vera ed unica della libertà.
Secondo Stirner nessun uomo può dirsi libero quando non lo è totalmente, e completamente, al di fuori di schemi imposti, al di fuori di condizionamenti sociali e convenzioni, sempre guardingo nei confronti dei bisogni degli altri simili. Questo è il contributo di Stirner alla dottrina anarchica, e questa è l’idea che di Garibaldi mi porto dietro fin da studente.
E’ l’anarchismo individualista stirneriano, che pone, al centro della sua dottrina politica, non la società, come hanno fatto tutti i filosofi anarchici contemporanei al nostro, ma l’individuo stesso ed il suo puro egoismo. Esatto, proprio il suo egoismo, e la perfezione che questo puro egoismo, portato alle estreme conseguenze, diviene, trasformandosi nell’individuo opera d’arte. Non parliamo certo dell’egoismo per frasi fatte. Parliamo di un egoismo vissuto fino alla radice dell’essere, e ricordiamo che nessuna felicità è totale, se circondata dalla sofferenza dei simili.
Il massimo dell’egoismo è gioire insieme. E’ la sintesi di una felicità riflessa fatta di un sorriso comune a tutti quelli che amiamo e che vivono la nostra realtà. E tuttavia i percorsi per raggiungere tale convincimento sono diversi, come sono diverse le forme dell’arte. L’uomo va visto nella sua interezza: ed i suoi sentimenti, il suo sentire profondo fanno parte della sua unicità, e sono irrinunciabili, al punto che il più puro egoismo a quelli tende, e li culla e li coltiva nella maniera migliore: e tuttavia questo bisogno di socialità e comunione con il resto del mondo non può nascere da imposizioni esterne, ma deve essere il frutto di una libera scelta, supportata da un totale convincimento e da una necessità di crescita etica che l’individuo deve operare da sé e per sé.
A questo modello di libertà ogni uomo, degno di questo nome, mi pare si debba conformare.
MA SOPRATTUTTO UN ARTISTA DEVE CONFORMARVISI. Perché un artista? Intanto perché ogni uomo che porti dentro il senso della bellezza deve fare della propria vita un’opera d’arte, anche solo anelando alla bellezza; questo basta a fare di chiunque un artista. Poi perché solo l’artista ha sviluppato una tale individualità da comprendere che soltanto in tale dimensione la vita merita di essere vissuta, e può portare ad una crescita dell’individuo e quindi della società.
Max Stirner lo scrisse nel suo libro: -l’unico e la sua proprietà. Garibaldi lo scrisse con la sua vita. Il proclama stirneriano è che ogni ideologia, che vuole dettare all’uomo delle regole, in qualche modo lo rende schiavo. Ogni società, al culmine della sua evoluzione, dovrebbe essere costituita da uomini unici, e non da forme politiche che pretendano, in nome di generalizzazioni varie, di dettare regole al di fuori del sentire profondo di un uomo. Perché solo il sentire profondo trasforma il primigenio egoismo, acerbo e rozzo, sublimandolo nel bene comune. L’egoismo di un santo , di un martire: di chi vuole molto, ma molto di più di quel che la vita offre, seguendo alcuni valori sociali. Allora l’uomo sarà unico; la sua unità si formerà quando egoismo e bene collettivo si identificheranno.
Mi piace pensare che questo sia il contributo dell’arte e degli artisti. Di coloro che assecondano la loro natura, e non la violentano: non la soffocano in nome di ideologie dettate dall’esterno, impositive, e spesso contraddittorie; che in ogni momento esprimono la propria libertà ed il proprio modo di essere soli, di sentirsi unici tra tanti. Questa è l’unione dell’uno con il tutto: poiché dall’uno tutto nascere tutto si crea, in una infinita molteplicità di situazioni: ma ogni cosa fa parte della unicità dell’essere, alla quale si deve tornare dopo che ognuna di queste singolarità avrà sviluppato fino alle estreme conseguenze la propria forma di unicità.
Pertanto, ricorrere all’idea della rivoluzione dei mille, ed al suo ricordo quale causa primaria dell’unificazione dell’Italia, non è altro che un voler riconfermare, traslandola ai nostri tempi, la necessità di un moderno villaggio globale, nel quale gli artisti massimamente sono tenuti a mostrare degli esempi, iniziando a voler vivere al di fuori degli schemi e di alcune regole non propriamente generatrici di libertà.
Non è portare a compimento opere che meraviglino o abbiano il senso di gradimento oggettivo del pubblico, che differenzia la posizione dell’artista rispetto al resto del genere umano, o di altri artisti. L’artista semmai è colui che interpreta la vita in modo diverso dai più, che pone il suo egoismo al di sopra di comportamenti consuetudinari; che vuole, fortissimamente vuole raggiungere il nocciolo dell’essere uomo attraverso una introspezione profonda delle sue pulsioni, e talvolta delle sue compulsioni.
Mille artisti per l’unità rappresenta, quindi, una somma di mille individualità che rispettano, prima di tutto se stesse, prima di unirsi alle altre individualità nel ricercare un bene comune: convinte, in fondo, che questo bene comune sia un minimo comune denominatore che tutti condividono, e sul quale ogni artista fa affidamento per raggiungere il suo massimo piacere. Amare il prossimo come se stessi significa partire dall’amore di sé, ed intraprendere un cammino volto a limitare la propria libertà in modo piacevole e non contrario all’egoismo ed anzi vicino al suo massimo piacere: ma a questa conclusione il singolo deve giungere senza che vi sia nessuno, che parla alla moltitudine, da una altezza superiore di uno scalino, rispetto alla altezza media di chi ascolta. Gli artisti diffidano di chi parla alle moltitudini, ed attendono che la voce del maestro giunga dal profondo del loro corpo, del loro cuore, della loro anima, e del loro senso di bellezza.
Questo per me è il significato di mille artisti per l’unita .- Del resto in principio era l’uno. E tutto tornerà ad essere uno quando il tempo ed i suoi concetti di inizio e fine coincideranno. Ma questo avverrà solo quando la consapevolezza delle infinite forme di vita avrà raggiunto il suo apice: allora egoismo, altruismo e generosità si confonderanno nell’uno; forse rimarrà solo l’inno alla gioia, suonato dall’orchestra delle sfere celesti. 

 

Livio Garbuglia

Il mondo è nel senso e nella direzione della storia

L'universo sarà il nuovo vettore spazio temporale dell'evolu
zione. Le conseguenze sono incalcolabili, ma la volontà ostinata dell'essere umano, la sua vocazione lo spingono oltre. Ciò vuol dire, in definitiva, che all'esigenza di formare in noi stessi "una mentalità planetaria", è strettamente congiunta la necessità di una rinnovata filosofia sapienziale e anche di una nuova biologia fondata sul rispetto della dignità umana. Viviamo oggi plasmati dallo scambio continuo di messaggi che si effettua tra noi e il mondo cibernetico, il quale, a lungo andare, non può che generare uno sviluppo eccessivo delle attività speculative astratte nei confronti delle attività proprie dell'uomo (la riflessione metafisica, la costruzione-essere, la volontà-esistere). La personalità dell'uomo non è solo razionale, ma si manifesta in vari modi, è poliformica. Sarebbe deprecabile che ad un esaltante successo dell'intelligenza si dovesse accompagnare una ulteriore sconfitta della vita. La macchina pensante acquisterà in numero sempre maggiore i requisiti dell'attività umana e tenderà a sostituirla per la massima parte? Biologia da una parte e cibernetica dall'altra avanzano su due direzioni diverse, ma forse sono destinate a incontrarsi. Rompendo il condizionamento imposto dall'abitacolo terrestre, per affrontare nuove e "superumane" condizioni di vita nel "pianeta-cosmo", l'uomo è vicino a qualcosa di molto simile a una "mutazione" anche senza pensare alle "mutazioni" della fantascienza, sappiamo che l'alimentazione artificiale, il controllo genetico, sono appena alcune delle linee sulle quali stiamo procedendo. Il "futuro" è nella direzione e nel senso della storia; l'uomo è costretto a parteciparvi nella possibilità di convivenza umana.La coscienza essere-civiltà dopo essersi in una certa misura staccata, fondata di consapevolezza, dal mondo reale, si volge a cercare nel mondo del pensiero quella soddisfazione che non ha potuto dargli il mondo reale. La volontà cosciente cerca di mitigare il vitale insieme dei valori distinti dal regno materiale; come condizione necessaria, a privarsi dei piaceri indotti. Ma questa privazione del godimento non viene solo ricercata come mezzo, bensì ancora per se stessa, come coscienza della costruzione- essere-mondo. La rinnovata fiducia umanistica è nell'insieme stimolo e appagamento, tocca sempre il traguardo ma non si ferma in nessun luogo, è un viaggio nell'infinito, un fondare all'unisono con l'universo, un vivere con esso fuori del tempo. Il suo scopo non è lo sviluppo di singole facoltà o rendimenti,ma essa ci aiuta a dare un senso alla nostra vita, a interpretare il passato, a costruire il futuro con coraggiosa prontezza. Ogni nostro intelligente addentrarci nell'opera dell'uomo universale è una sentita e appagante esperienza, che in noi accresce non una somma di deludenti emozioni, ma la nostra viva coscienza e la nostra comprensione. La sua opera si fa un'idea della larghezza e dell'abbondanza di ciò che l'uomo ha pensato e desiderato, e si pone in un rapporto di vivificante congenialità con il tutto, con la vita e il pensare dell'umanità. Questo, in fondo, è il significato di ogni esistenza che non si limiti al puro bisogno materiale. L'arte volontà-fondazione-essere non deve affatto "distrarci " , ma anzi concentrarci; non deve farci dimenticare una vita senza senso e stordirci con una consolazione apparente, ma, al contrario, deve concorrere a dare alla nostra vita un significato sempre più alto e più pieno. Se osserviamo le opere d'arte, non viene un senso di curiosità, ma un'umanità da fondare, un'umanità a noi comprensibile e vicina. La soluzione del mondo, è universale, la sua coscienza scaturisce da un perenne sentimento dell'eguaglianza essenziale di ogni essere umano. L'attività umana può fondare una concezione dell'uomo inteso come soggetto capace di mettere in comune con gli altri pensiero e aspirazioni all'interno di un mondo armonico e unitario. 

 

Stefania Missio

Da Caprera al Mitreo

Pochissimi giorni fa qui all’Isola di La Maddalena, da dove scrivo e vivo, è partito il 90° Giro d’Italia: decine e decine di ciclisti con armi in gamba sono partiti dalla casa di Garibaldi situata nella sua amata Caprera. Una partenza verso l’Italia, in occasione dell’importantissima ricorrenza che ci vede strizzare l’occhio ad un vecchio gagliardo con la barba che da queste parti ha stabilito la base per gettare un’occhiata unica sullo stivale.
Oggi si fa battaglia con lo sport ed ancor più con l’arte che nel XXI secolo rincorre il diverso per sentirsi tutt’uno con le sue più svariate sfaccettature. Se non c’è il difforme da incastrare a sé non si ha la carta d’identità in regola da abitante del XXI secolo: questo l’arte contemporanea lo ha capito da tanto. Lo sport ha seguito l’arte. L’arte da sempre segue la società. La società è un sodalizio di forze indissolubilmente contrastanti che grazie al proprio attrito cresce a dismisura e non smette di arricchirsi.
La vera battaglia, quella che una volta fu di Garibaldi e di cui noi ne ereditiamo i successi, oggi è in noi stessi e con l’aiuto di nuovi garibaldini – che siano artisti, sportivi o parlanti altri alfabeti – affrontiamo il vero ostacolo del nostro tempo: credere di essere mancanti di qualcosa e cercare in ciò che non siamo il vero cavallo di battaglia, la nostra Marsala.
Accomunati da una stessa camicia, in un luogo nuovo e traboccante di fermento di Roma come Il Mitreo, umili battaglieri coraggiosi del XXI secolo partono per il loro Giro.
Tutti per uno ed uno per tutti. Tutti sono Uno ed Uno sono Tutti. 

Loredana Rea

Elogio della Pluralità
Pensieri a margine di una mostra


In questi ultimi anni, in cui linguaggi diversi coesistono gli uni accanto agli altri, intrecciandosi e sovrapponendosi a generare continui sconfinamenti e ricercate interferenze, la bussola per orientarsi nella pluralità degli esiti formali della ricerca artistica contemporanea deve essere la consapevolezza che a guidarla è l’estrema libertà espressiva, perseguita con strumenti spesso molto differenti e nutrita da intenzionalità per lo più discordanti. Ci si muove liberamente tra pittura, fotografia e video, tra scultura, installazione e happening a dimostrare, attraverso la tangibilità di una contaminazione costantemente ricercata, che l’arte, in una società sempre più spesso divisa dalla costruzione di nuove barriere e dalla proliferazione di altre discriminazioni, che non la rafforzano depotenziando anzi le immense opportunità offerte dal progresso tecnologico e scientifico, rappresenta la possibilità di riscoprire le ragioni profonde dell’individualità e contestualmente affermare l’imprescindibile importanza dell’aggregazione. Essa, infatti, non si limita a concretizzare, trasfigurando o sublimando con i mezzi che le sono propri, il profondo disagio che permea questo nostro tempo, caratterizzandolo in maniera inconfondibile, ma cerca di identificare le ragioni del progressivo scollamento tra l’individuo e la collettività e coglierne il significato, indicando la strada per superare le divisioni fisiche e mentali, per riscoprire se stessi e attraverso sé gli altri. Si pone cioè come terreno comune in cui le esigenze di ognuno si riconoscono in quelle di gruppi più ampi e la diversità diventa non pretestuoso motivo di disgregazione ma imprescindibile collante della molteplicità della realtà.
La pluralità dei linguaggi dell’arte riesce a materializzare le differenze, le singolarità, le inevitabili diversità di orientamenti, che sono il tessuto vitale della contemporaneità, e, soprattutto, la complessità degli approcci, delle intenzioni e delle realizzazioni che definiscono le operatività tangenti o divergenti, i criteri metodologici e le intenzionalità progettuali di quanti si muovono consapevolmente nei differenti territori della ricerca creativa.
La pluralità riflette l’illimitato ventaglio di possibilità espressive di cui gli artisti dispongono in una società come l’attuale, in cui la globalizzazione della comunicazione, dell’informazione e, soprattutto, del sistema economico ha profondamente trasformato la quotidianità di ognuno, alimentando il bisogno di trovare un equilibrio tra la necessità di recuperare il senso della specificità delle proprie radici e gli esiti di una cultura che da una parte tende ad annullare le distanze fisiche, mentre dall’altra mira ad omologare le prospettive. Allo stesso tempo, però, rappresenta emblematicamente la strada da percorrere verso il progressivo superamento di ogni antico e nuovo discrimine. 

 

 

 

 

           

Alberto Tessore


Different is beautiful

Dopo anni in cui sono andati di moda slogan quali Big is beautiful, Black is beautiful, e poi via via Small is beautiful, Slow is beautiful mi pare venuto il tempo di sostituirli con Different is beautiful.
Nella società odierna, che sta mutando a velocità digitale, globalizzandosi nel bene e nel male, stiamo finalmente cessando di credere a una struttura di tipo piramidale, in cima a cui sta il fiero bianco cristiano con diritto ex-divino di governare il mondo e con alla base tutti i vari popoli cosidetti primitivi dalla pelle dei più svariati colori denigranti e denigrati; gradualmente questa immagine viene sostituita da quella di una struttura di tipo a foresta, con tanti alberi più o meno rigogliosi, ma tutti che si sviluppano dal medesimo terreno di base, ed è difficile dire quale sia più prezioso, bello o utile…dipende ovviamente dal punto di vista e dall’interesse del momento.
Finalmente si sta cominciando a pensare che l’incontro di etnie (e quindi di gente) differenti, non comporti necessariamente l’impulso a combattersi e massacrarsi a vicenda, ma può invece provocare una spinta a conoscersi reciprocamente, arricchendosi vicendevolmente dell’esperienza altrui.
E così può essere per la produzione artistica proveniente dai luoghi più disparati del pianeta, come per le varie correnti e i singoli artisti.
Nel mare magnum dell’arte odierna, risulta sempre più difficile stabilire un ordine di valori, quale artista sia migliore di un altro, se non ci fosse il sistema mercantile delle gallerie e del collezionismo che impone per sua convenienza le proprie regole per sopravvivere e prosperare. L’arte contemporanea è diventata un bene di superlusso, per cui le opere devono necessariamente essere rare per poter aumentare sempre più di prezzo. Quindi un piccolo numero di artisti accettati ad entrare nell’empireo dell’arte, mentre gli altri devono restare necessariamente fuori.
La cosa è in totale contraddizione con la massa delle opere prodotte in un tempo in cui sempre più vasto è il numero delle persone che si dedicano all’arte e che desidererebbero vivere facendo arte.
Il che è sicuramente un bene, nel nostro tempo in cui il progresso tecnologico, tra tanti aspetti forse anche negativi, ha indubbiamente il vantaggio di aver ridotto –grazie alle macchine– la necessità di molti lavori manuali, aumentando automaticamente il tempo libero a disposizione.
Cosa fare di questo tempo? Molti lo dedicano insciapendosi di fronte alla televisione spazzatura –e sono quasi tutti d’accordo su questa triste definizione della TV- oppure autoconsumandosi nel mondo del superconsumismo col rituale dello shopping settimanale, se non quotidiano; ma un numero sempre maggiore scopre che l’arte, il fare arte, il vivere in maniera artistica, apre finestre su mondi più vasti, liberi, indipendenti e vitali.
Ben venga quindi l’arte fatta da tutti, con la possibilità per tutti di guardarla, fruirne e giudicare, senza pregiudizi e senza terrore di venir bollati di incompetenti da critici saccenti.
Come hanno sostenuto persone di indubbio valore nel mondo dell’arte quali Jean Dubuffet e Joseph Beuys, tutti hanno una capacità creativa: si tratta di svilupparla, di darle il giusto valore, di farla germogliare fin dai primi anni della scuola, che invece tende spesso a soffocarla; avremo allora migliaia di artisti, o comunque di persone che amano fare arte, dilettarsi dell’arte. Saranno artisti amatori, dilettanti? Mi pare molto positivo amare ciò che si fa, dilettarsi facendolo. Se poi diventa la loro professione, il loro mestiere, in quanto la società dimostra di avere un reale bisogno di ciò che producono, ne nascerà anche un rapporto economico, con le inevitabili complicazioni e compromessi che la cosa comporta; ma innanzitutto incitiamo tutti ad esprimersi in maniera personale, artistica e quindi diversa l’uno dall’altro, fino a quando il nostro DNA non sarà talmente globalizzato, per cui saremo tutti uguali, come già è successo a certe specie animali, e le diversità tra le persone sarà un ricordo del passato.