TAV Bologna -Milano

              

                            

TAV - Bologna Milano

fotografia, ricerca e territorio

 

          recensioni

 

 

 

 

 

 

La presentazione della mostra TAV Bologna Milano ci riporta indietro nel tempo e alla cultura degli anni ’70 quando con l’affermarsi della Land Art e l’Arte Concettuale la fotografia si è sganciata da campagne fotografiche di propaganda rendendoci più consapevoli dei processi di cambiamento e dato la possibilità di pensare e valutare in piena autonomia.

Questa premessa ci permette di parlare dell’associazione Linea di Confine per la Fotografia, attiva dagli anni ’90, poiché conduce un’attività d’indagine fotografica su aree di territorio a lei vicine. Linea di Confine, dal 2003, affida ad alcuni fotografi il compito di stimolare una riflessione sulla rappresentazione del paesaggio contemporaneo. La scelta dello scenario è il cantiere per l’Alta Velocità, in particolare del tratto della TAV Parma Bologna. Questa esplorazione non ha, sottolineano i curatori Francesca Fabiani e William Guerrieri, nessuna pretesa esaustiva o generalizzazioni teoriche. Linea di Confine vuole semplicemente dimostrare che diversi autori [sono dieci] possano contribuire ad una azione conoscitiva di tipo collettivo in virtù della moltiplicazione dei punti di vista.

Partiamo con queste considerazioni nel visionare la mostra sapendo di incontrare fotografi in cui si fondano le radici del nostro tempo, ma con forme e contesti di pensiero profondamente diversi. Gli autori hanno scelto un luogo a loro più congeniale per poi affermare che "le loro immagini hanno sbagliato con estrema precisione il bersaglio" per permettere agli osservatori di trovare il significato attingendo alla propria sensibilità. 

Possiamo, quindi, permetterci di pensare che fotografare significhi anche compiere un’azione per dare valore a degli eventi quotidiani, sottraendoli alla insignificanza; affermare che dare valore alla vita quotidiana significhi accettarne la fragilità, l’evanescenza, la caducità; che il pensiero dell’esperienza va verificato e calibrato in dialogo  con gli altri, con la realtà, la quale nemmeno lei gode di totale assolutezza. Possiamo  permetterci di paragonare questa mostra ad un semplice atto: cucire. Questa azione, il cucire, diventa un metodo che ci consente di collegare, unire realtà, mondi diversi, visioni diverse come fa l’ago con il filo quando cuce.

Avremo così le immagini di John Gossage, (New York) incaricato di documentare l’opera nella fase iniziale e che sottolinea di essere attratto da “incontri imprevisti e accidentali”.

Dominique Auerbacher (Francia) ci regala una documentazione molto intensa e partecipata dei personaggi che vivono questo pezzo di terra documentando le loro vite e i cambiamenti a cui sono stati sottoposti.

William Guerieri (Rubiera) il suo impegno è costituito dall’individuazione di un luogo legato alla memoria della sua famiglia per cercare il senso che assume questo nuovo progetto di modernizzazione.

Walter Niedermayr (Bolzano) attraverso delle sequenze e ripetizioni ci invita a riflettere sul carattere provvisorio della realtà.

Guido Guidi (Cesena) fotografa i bordi di questo paesaggio, che si presenta monumentale, per favorire l’incontro casuale con oggetti, architetture preesistenti per indicarne la fragilità e la relatività delle rappresentazioni.

Tim Davis (Blantyre) ha articolato il suo lavoro come “un viaggio alla ricerca delle modalità in cui la tecnologia si fa strada nella nostra vita: un tecno-giro”

Cesare Ballardini (Fusignano) e Marcello Galvani (Massalombarda)  hanno deciso di documentare il modo in cui gli abitanti di quelle aree vivono e utilizzano le aree verdi e le opere di mitigazione per ritornare al vivere quotidiano.

Bas Princen (Zeeland) ha orientato il suo sguardo su un tracciato che, in termini culturali, rimanda al fascino del nuovo che si materializza, che diventa una sorta di monumento alla moderna cultura tecnologica e ci induce a riflettere a come il nuovo diventi una parte naturale del nostro mondo.

Vittore Fossati (Alessandria) si è orientato sul  paesaggio fluviale del Tauro e del Po. Viadotti e ponti come una sorte di spazi simbolici che ci mettono in relazione a cambiamenti che sono tra loro distanti.

La tratta ferroviaria è in piena attività oggi, ma queste immagini ci consentono di rimanere legati ad un territorio consapevoli del lavoro, materiale e simbolico, svolto.

Prima della apertura della sala espositiva si è svolto un incontro con William Guerrieri, Tiziana Serena ed i fotografi Vittore Fossati, Guido Guidi, Cesare Ballardini e Marcello Galvani. Partecipano alla conversazione Antonello Frongia, Francesco Careri, Giovanni Longobardi.

Il Museo Maxxi di Roma ha con entusiasmo condiviso questa iniziativa perché come ha dichiarato Margherita Guccione, Direttore del MAXXI Architettura: ''L'indagine dei fotografi sui paesaggi delle infrastrutture si conferma uno straordinario strumento per leggere la contemporaneità e per interagire con il pensiero di chi progetta gli scenari territoriali. Per questi significati la fotografia e' uno degli assi portanti del Museo di Architettura''.

 

Maristella Campolunghi

15 marzo – 21 aprile 2013

Maxxi
Via Guido Reni, 4/A
00196 Roma
www.fondazionemaxxi.it