Ilenia Montiglio
Ilenia Montiglio

Foglie d'autunno nel giardino 

 

        racconti

“Lo scrittore pensa e scrive. Il fotografo pensa mentre fotografa e perciò ogni foto è un pensiero”. 

M. Vázquez Montalban

 
Quanto valgono quelle foglie d’autunno nel giardino dell’asilo, ad ammorbidire i tuoi passi ancora incerti ma così fieri, come forse oggi non saprebbero essere? E le canzoni alla recita di Natale, il profumo della mensa all’ora di pranzo, il grembiule giallo con il fiore cucito su un lato e il tuo nome ricamato su un asciugamano. I disegni con i pastelli a cera e le castagne matte raccolte per gioco e portate a casa come trofeo di chissà quale vittoria.
Che prezzo ha quella prima lettera di bambini che giocano a fare i grandi, che parlano d’amore senza sapere cosa sia, ma che di lettere così tu non ne hai ricevute più?
A quanto lo vendi il profumo del caffelatte a colazione, tra i compiti ancora da finire, che il giorno prima c’era da giocare? E i pomeriggi di cartoni animati, di pane e zucchero. Te lo ricordi ancora che sapore avevano quelle merende che nessuno più ti ha preparato?  Che prezzo ha il profumo della menta in giardino e le rose arrampicate sul muro di cinta, che oggi, su quel muro, ci corre solo qualche crepa e una lucertola in cerca del suo posto al sole; le sere estive sui gradini di casa fatte di pipistrelli e falene, di latte e menta e belle di notte. Del cigolio arrugginito di un dondolo in ferro battuto. E i pomeriggi a guardare gru e campi di papaveri e girare in tondo il garage a cavallo di una bici. E chi l’avrebbe detto, nonno, che oggi pagherei per poter vedere qualche papavero in più di quel paio che crescono a fatica ai margini di una strada trafficata. E poi c’è la grande magnolia in giardino, con i suoi fiori rosa che sanno di primavera, che ha resistito a mille inverni e potature.
Le mattine di Natale in pigiama e la magia dei regali sotto l’albero. Il profumo della pizza fatta in casa al rientro da scuola e la torta di mele ancora in forno, che - la terrina dell’impasto non lavarla, nonna, che ci penso io - Il suono del carillon rosso nel dormiveglia. Le lezioni di grammatica sotto al salice e la tuta del sabato pomeriggio, che era il giorno del catechismo e dell’educazione fisica. I colletti inamidati. Il profumo dei quaderni nuovi. Il piccolo principe con la sua volpe da addomesticare, che non sapevi bene cosa volesse dire, ma avevi una certa idea che non sarebbe stato senza qualche lacrima.Quel sorriso sulle giostre e quella foto di mamma che le hai fatto tu, così bella come te la ricordi, come non è invecchiata mai. E il rumore dei tacchi al rientro la sera e le gonne e le gambe magre. Che chissà se un giorno diventerò come lei. Le mani troppo grandi di papà che stringendo le tue tanto piccole in confronto, ti hanno regalato quel modo così goffo di impugnare la penna. E i cerchietti colorati, le gonne a fiori, le calzamaglia sempre rotte e una frangetta dietro grossi occhiali, mai più indossati. Le graffette colorate rubate dal cassetto della maestra, le figurine comprate di nascosto. E un bruto voto a scuola, che non credevi ci potesse essere niente di più grave per cui valesse la pena piangere. E le feste di compleanno che non era mai il tuo turno. I vestiti da conservare per la messa della domenica, che chissà perché devo vestirmi bene solo per andare a messa. Il profumo del rossetto a carnevale e quel vestito da principessa che non volevi togliere, senza sapere ancora che non ti sarebbe più andato bene. Senza sapere che, comunque, non avresti più voluto mascherarti perché lo avresti trovato ridicolo. Senza sapere che invece, più tardi, avresti ripreso a mascherarti. Tutti i giorni.Che prezzo daresti alle cose che non tornano? A una voce dimenticata, a quell’immagine di morte, tu ancora troppo piccola per capirla, per accettarla, quella forse sì la venderesti volentieri, in cambio di qualche attimo in più, per poter dire quello che manca. Per non vedere le lacrime di tua madre. Per riavere ancora un solo istante di quello che non c’è più. Che prezzo hanno i baci non dati e i pomeriggi d’inverno sulle panchine di un parco, quando il freddo fuma il fiato, ma tu potresti non accorgertene mai? Poi il ghiaccio; quel lago ghiacciato costa parecchio, non lo avresti più rivisto. Era stato un inverno freddo, ma non quanto quello che sarebbe arrivato dopo, dentro di te. A quanto le vendi le fughe serali e i primi abbracci in un altro letto, che ti chiedevi cosa ci fosse di più bello. Il rumore dei fuochi d’artificio, che ti giri a cercarli e all’improvviso eccoli lì, come il mare che compare da dietro una curva, dopo un anno di lontananza. Per quanto venderesti quegli occhi azzurri per cui non hai capito più niente e le mani che ti hanno accarezzato? Le tue stelle sul soffitto e le lacrime soffocate nel cuscino. E la sveglia che suona alle 5 del mattino per ripassare. Che prezzo dai a tutte le conchiglie raccolte e finite chissà dove, al profumo di crema solare e zampirone, che da sempre, per te, l’estate ha quel profumo. Quell’alba vista nascere dal mare, come solo nei film, e quelle notti che sanno ancora di vodka e pesca, per poter osare un po’ di più. Qui sono rimasti da vendere ancora dei cieli stellati, i rientri in punta di piedi a notte fonda, con i tacchi in mano ed i piedi nudi sull’asfalto ruvido per non far rumore, che tanto poi tua madre è ancora sveglia e lo sa e quella sigaretta che non sapeva poi così tanto di libertà.

E la fotografia di una bimba che ti guarda tutte le mattine quando esci di casa per andare al lavoro, mentre mangia il suo lecca lecca. Ti guarda con quei suoi occhi grandi e scuri e curiosi e non sa niente di quel lavoro, dei tuoi problemi, dei ritrovamenti dei vostri sogni uccisi e rimessi in piedi, ogni volta, in qualche modo. Delle decisioni che più nessuno si preoccupa di prendere per te, delle persone che hai incontrato, conosciuto, amato, allontanato e di quelle che ti hanno ingannato e tradito, che ti hanno sostenuto e accompagnato per un po', prima di cambiare strada, di quelle che invece sono rimaste, contro ogni previsione. Di quella che sei oggi. Che i chilometri e le esperienze e il tempo ti avranno cambiato espressione, voce, pelle, ma gli occhi, quelli no, sono sempre gli stessi. Di quella bimba che ti guarda ogni sera dalla foto sul muro, da tutti i tuoi ricordi appesi ad asciugare sul filo della memoria. C’è un posto laggiù, in fondo all’anima, una piccola camera oscura dei ricordi, dove si depositano le emozioni, in attesa che tu le vada a cercare, in attesa che un dettaglio qualunque le risvegli. Senti una piccola pressione e così, dal nulla, affiora un ricordo sulla soglia dell’anima, attraverso interstizi che non sai e potresti srotolare chilometri di pellicola con impressi momenti. Di tutte le te che sei stata. E non ci sono più parole né immagini: ci sono solo emozioni che non si possono raccontare, soltanto provare. E, quando puoi, ricordare.