Francesca Maria Zeuli recensione

 

MARIO NUNES VAIS. 

Memoria e Poesia  

 

4 - 30  Ottobre 2005, Casa delle Teste Nere, Riga - Lettonia

a cura di  Maria Francesca Zeuli

           recensioni

     L’importante fotografo fiorentino Mario Nunes Vais (1856-1932), contemporaneo della famosa Società fotografica Alinari di Firenze, svela l’Italia tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento e i protagonisti del suo ricco e vivace contesto culturale, attraverso i volti noti, notissimi e anonimi delle sue fotografie: celebri poeti, scrittori, politici, filosofi, musicisti, artisti, attori di teatro e cinema, ma anche cittadini borghesi, popolani e contadini o ginnasti e militari si propongono al pubblico in un percorso in tre sezioni in cui piacevolmente si dipana la complessità della cornice storica e l’ambiente sociale, intellettuale e mondano della Belle époque italiana. Grazie all’occhio acuto e all’obiettivo sensibile del “poeta-fotografo” Nunes Vais, la memoria si fa immagine nel sapiente gioco di luce e ombra della neonata tecnica fotografica e nell’accuratezza delle pose che rivelano un costante personale colloquio dell’autore con i soggetti ritratti o una sua intima interpretazione del loro carattere.

La mostra, voluta e realizzata dall’Ambasciata d’Italia, con l’importante patrocinio dell’ICCD – Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, si prefigge di essere occasione stimolante di incontro e dialogo della cultura italiana con quella lettone e di valorizzare la Fotografia storica nella sua preziosa natura di Bene Culturale.

“Artefice della luce e dell’ombra”, “stregone delle immagini”, “gentleman-fotografo”, “fotografo della Belle époque italiana”, così, è stato denominato da poeti e critici Mario Nunes Vais, a fronte della sua cognizione di se stesso che lo portava a considerarsi e definirsi un semplice “dilettante” della Fotografia; oggi possiamo accettare il titolo della sua modestia solo in funzione del fatto che la sua passione fotografica non divenne mai una professione lucrativa, ma fu da lui vissuta come un tramite per dare voce alla sua attenzione al mondo di persone, personaggi, luoghi e cose del suo tempo e al colloquio personale con esso, che emerge nella sua abilità di catturare la verità intima di ciò che fissa nelle sue fotografie, attraverso l’accuratezza della scelta dei tagli d’inquadratura, delle pose e degli attributi che contraddistinguono ogni suo scatto. Al di là della valente perizia tecnica, che solo a volte appare troppo controllata e formale, un senso di “Vita”, dunque, traspare dalle sue fotografie, tradotto in straordinari valori estetici e nel piacevole fascino della rievocazione che oggi si fa preziosa memoria e importante documento storico.

    La Fotografia è un linguaggio tutto sommato giovane, nato nel 1839 in Francia con l’invenzione scientifica di Daguerre, e risente fin dall’inizio di una non completa autonomia formale e metodologica, conquistata solo negli ultimi decenni, dovuta alla progressiva conoscenza del mezzo meccanico e alle sue effettive possibilità espressive: la fotografia, dunque, percorre la via tracciata dalle arti maggiori, pittura e scultura, almeno alle sue origini e per tutta la fase di scoperta e sperimentazione dei suoi strumenti. Essa, però, si affaccia alla scena artistica solo alla metà dell’Ottocento, proprio nel momento in cui i pittori di avanguardia reclamavano, per il ritratto e per gli altri soggetti pittorici, un’inedita libertà formale distante dalle esigenze di mimesi e di rappresentazione naturalistica della realtà, fino ad allora perseguite. Perciò - come lo scrittore Giovanni Papini afferma - “dicevano che la fotografia avrebbe ammazzato la pittura. Invece la fotografia, diventando sempre più perfetta, sta salvando la pittura dal momento che questa dev’essere sempre di più la negazione di quella, cioè sempre più lontana e diversa dalla cosiddetta realtà che vedono tutti”; in questo fermento innovativo, allora, la fotografia si inserisce prendendosi il suo spazio e divenendo un’alternativa “democratica”, perché più immediata e meno costosa, ma non per questo meno eloquente ed espressiva, alla pittura nel preservare la memoria di affetti, luoghi e situazioni.

    Le fotografie di Nunes Vais qui esposte sono una piccola ma esemplare parte dell’immensa miniera di circa sessantamila lastre fotografiche prodotte dal fotografo in circa quarant’anni di attività amatoriale.

Le loro originali lastre di vetro alla gelatina bromuro d’argento, di vari formati, sono tutte conservate nel Fondo fotografico Nunes Vais nel Museo/Archivio di fotografia storica dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione italiano (ICCD), fondo composto da circa ventimila negativi, donati all’Istituto dalla figlia del fotografo, Laura Weil Nunes Vais, in parte nel 1970 e successivamente nel 1981